L’isola di plastica: perché non basta ridurla per salvare il Pacifico

Come si è formata e cosa possiamo fare per eliminarla?

29 gennaio 2020

C’è un’isola nel Pacifico dove non c’è un solo cm quadrato dove poter camminare. E non per evitare di rovinare la bellezza del paesaggio. Ma perché è composta di sola plastica. La potete chiamare Great Pacific Garbage Patch, la Grande chiazza di immondizia del Pacifico o semplicemente l’isola di plastica perché tutti questi termini hanno un solo significato: quello di rappresentare la più grande zona di accumulo di rifiuti al mondo. Ma come si è formata e cosa possiamo fare per eliminarla?

L’isola di plastica: come è nata e perché

L’isola è una distesa di plastica che si estende tra i 700 mila km quadrati e pesa 21.290 tonnellate. Per fare un paragone, è grande come 13 Boeing 747 oppure 120 balenottere azzurre. Si trova nel Pacifico del Nord in una regione dove le correnti superficiali formate dai venti hanno creato una zona di convergenza che ha accumulato detriti artificiali, ovvero provocati dall’uomo, che possono rimanere intrappolati nel vortice per anni. La maggior parte dei rifiuti sono frammenti di plastica di dimensioni molto varie tra loro. L’isola di plastica del pacifico è stata scoperta negli anni 80 da alcuni ricercatori della National Oceanic and Atmosphere Administration degli Stati Uniti (NOAA) e se ne è parlato a livello internazionale nel 1997 quando il velista Charles Moore è letteralmente rimasto incagliato nei suoi rifiuti in un viaggio in mare verso Los Angeles.

Cosa abbiamo fatto per rimediare?

Nel 2013 è nata la fondazione Ocean Cleanup con l’obiettivo di ripulire l’isola grazie a dei bracci di filtraggio. Questo sistema aveva già però dimostrato sin dall’inizio la sua debolezza: i bracci infatti non erano stati in grado di raccogliere i detriti più piccoli. Per questo, la comunità scientifica aveva criticato questo metodo che era dannoso anche per la salute degli organismi planctonici del Pacifico. A 7 anni di distanza, a ottobre 2019, Ocean Cleanup ha creato un macchinario che può intercettare i detriti di plastica di qualsiasi tipo, dalle microplastiche ai rifiuti voluminosi.  La macchina della fondazione Cleanup si chiama System 001/B ed è un sistema autonomo che sfrutta le correnti del mare per concentrare la plastica e permettere alle navi di supporto di raccoglierla e iniziare a riciclarla una volta portate a terra.

E noi? Cosa possiamo fare, tutti i giorni, per pulire l’isola di plastica?

Il rapporto Foresight Future of the Sea pubblicato in Gran Bretagna ci dice che l’isola di plastica è un problema che ci riguarda e soprattutto da non sottovalutare: l’inquinamento da plastica negli oceani potrebbe triplicare da qui al 2050 se non facciamo qualcosa di davvero significativo. Gli esperti concordano sul fatto che se da un lato per risolvere il problema dobbiamo puntare sull’ economia circolare, in poche parole un’economia pensata per rigenerarsi da sola, d’altro canto è fondamentale partire anche da piccoli gesti quotidiani per ridurre il consumo quotidiano di plastica.
Come sostiene Stefano Aliani, ricercatore dell’Istituto di Scienze Marine: “Per svuotare una vasca dove il livello dell’acqua è in continuo aumento, la prima cosa da fare non è andare a cercare un secchio più grande ma chiudere il rubinetto”. E perché  non partire da una scelta sana e sostenibile come i gasatori Sodastream?

 

Sitografia:
www.garbagepatchstate.org
www.nationalgeographic.org